lunedì 21 gennaio 2008

Noi siamo con il papa!

L'opposizione fatta nei confronti del papa è a mio parere ingiusta ed anticostituzionale!
Se sei d'accordo con me e con Magdi Allam aderisci anche tu all'appello a favore del papa!!
http://www.magdiallam.it/aderiscoappellopapa

Quattro chiacchiere con Magdi Allam- pubblicato su Lafonte e sul sito www.magdiallam.it

Quattro chiacchiere con Magdi Allam

Di Gioele Maria Pignati

www.gmparticoli.blogspot.com

Ci avevano assicurato che non ci sarebbe stato alcun problema: Magdi Allam, vicedirettore del Corriere della Sera “ad personam” era stato contattato e la sua risposta alla richiesta di una decina di giovani Fabrianesi, compreso il sottoscritto, d’incontrarlo per un breve confronto pomeridiano era stata accolta entusiasticamente. Fatto sta che il 5 di gennaio, sotto un’incessante pioggia battente, giungiamo nella sua abitazione persa tra le campagne laziali. Ad aspettarci c’è la sua scorta incaricata di sorvegliare lui e la sua famiglia giorno e notte: è storia nota quella delle condanne capitali scagliategli contro a causa delle sue affermazioni contrastanti con i principi dell’Islam, scaturite da un atteggiamento che, musulmano egli stesso, lo vede coraggiosamente rischiare la vita battendosi contro gli integralismi e gli estremismi del medio - oriente. Entrati in casa siamo subito accompagnati in un lungo salone occupato per intero da una tavolata imbandita di bibite e dolciumi, sovrastata ai lati da due alte librerie straripanti di volumi d’ogni genere e lingua ed in fondo da un imponente camino in pietra dove fa bella mostra di se un antico tricolore incorniciato. In quest’atmosfera decisamente familiare inizia la nostra conversazione.

Cominciando a discutere prende piede subito un dibattito riguardante l’etica nel giornalismo e l’utilizzo scorretto dei mezzi di comunicazione. Magdi Allam pare non essere granchè soddisfatto della situazione attuale, con particolare riferimento al caso italiano: “Faccio molta fatica a seguire telegiornali e quotidiani. Oggi si va avanti solo con il sensazionalismo e le emozioni forti, con lo scandalo e con lo scalpore. Tutto diventa chiacchiera e pettegolezzo e non è dunque un caso che le notizie più diffuse siano quelle di cronaca nera. Ad oggi non si può parlare di giornalismo etico, quanto piuttosto di mistificazione della realtà dove di fronte al relativismo dell’informazione lo spettatore non sa più che pesci prendere”. La critica però non ci appaga totalmente e Magdi, rendendosene conto, prosegue proponendoci un possibile punto di svolta: “I media costano e molto del ricavato proviene dalla pubblicità. E’ ovvio che questa venga inserita in quei programmi che hanno l’audience più alta che ad oggi sono rappresentati dalla cosiddetta tv spazzatura fatta, come dicevo, da emozioni forti. Ad esempio se si preferisse un documentario ad un reality cambierebbero gli indirizzi pubblicitari e conseguentemente le tipologie di programmi trasmessi. La responsabilità dei prodotti televisivi è sì, di chi detiene i mezzi di comunicazione, ma indubbiamente anche la nostra”.

Detto questo il discorso cambia direzione ed allontanandosi dalle tipiche tematiche d’apertura, verte su argomenti più recenti e specifici, concernenti il percorso ideologico e politico portato avanti tutt’oggi da Magdi Allam. Prima di tutto un paio di chiarimenti sul suo libro appena pubblicato, dall’emblematico titolo “Viva Israele”: “Il mio è volutamente un titolo politicamente scorretto. Non pensate che Viva Israele significhi abbasso Palestina, io sono per il diritto alla vita di tutti. Ritengo che l’affermazione di un valore come questo sia però realizzabile solo attraverso il riconoscimento dello stato d’ Israele e l’eliminazione di molti pregiudizi. Ci tengo poi a precisare che, a differenza di quanto afferma qualcuno, non c’è alcun nesso tra la stesura di questo libro ed il ricevimento del premio Dan David. Basta ripercorrere i miei articoli per rendersi conto di come sostenessi la causa di Israele già da molto prima”.

Le domande poi proseguono lungo un approfondimento della situazione mediorientale, la quale, da Egiziano, è stata vissuta dal “padrone di casa” praticamente in prima persona: “Rispetto agli anni cinquanta, periodo in cui, perlomeno in Egitto, era diffuso un clima liberale, dove le donne non indossavano il velo e non c’erano problemi a predicare religioni differenti da quella musulmana, oggi, nei paesi arabi si assiste ad un pressante ritorno all’integralismo. Ricordo la scuola cristiana che frequentavo da ragazzo. Allora era circondata solo da una recinzione a giorno che serviva unicamente a delimitarne il cortile. Tornandoci poco tempo fa mi ritrovai di fronte ad un alto muro di cemento armato, un chiaro simbolo di scissione tra due mondi, una trincea difensiva innalzata contro le ostilità provenienti dal radicalismo e dal terrorismo”. Ed è a proposito di quest’ ultimo che il discorso prosegue: “ Non crediate poi che i terroristi di cui tanto si parla oggi siano solo gente povera e disperata. Basti pensare che molti sono di origine Saudita, originari quindi di un paese alquanto benestante. Alcuni di questi suicidi sono britannici e molti altri francesi, tutti comunque appartenenti a famiglie di rango medio-alto. Oggi si diventa terroristi soprattutto su base ideologica”.

Il nostro confronto prosegue quindi su argomenti scottanti ed attuali comprendenti i diversi conflitti, le personalità e i trattati di pace mancati. Emerge la posizione di Magdi Allam contrario alla guerra, ma allo stesso tempo contrario alla sottomissione a tiranni e carnefici. Egli ritiene impensabile che si sia manifestato esclusivamente contro Bush e l’America, quasi a voler intentare un processo, e che non si sia protestato invece contro le migliaia di morti provocate dai regimi mediorientali. “E’ vero che anche molti civili palestinesi perdono la vita in questi scontri, ma è anche chiaro che se dei miliziani montano una postazione missilistica, facile bersaglio di bombardamenti, sul tetto di un edificio privato la colpa è anche di qualcun altro”.

In un crescendo di “botta e risposta” culminiamo poi in un’interessante serie di pareri conclusivi concernenti l’ONU, l’U.E. ed il nostro paese, tutti imputabili di aver avuto poca voce in capitolo in capo ai problemi legati al mondo arabo: “L’ONU oggi è un organismo fortemente screditato ed inefficace nella gestione delle crisi internazionali. Il suo problema principale, che è poi lo stesso dell’Unione Europea, consiste nella mancanza di un quadro di valori fondamentali e quindi di un’identità di base. Già affermare su scala generale l’applicazione di valori come il diritto alla vita e la democrazia sarebbe un buon inizio. Allo stato attuale le Nazioni Unite e ancora meglio L’Unione Europea con 27 paesi tanto eterogenei sono paragonabili solo ad un gigante dai piedi d’argilla, una fragile mescolanza di adesioni indistinte”. E prosegue: “ della situazione italiana già avevo parlato nei miei articoli in cui mostravo l’atteggiamento troppo accomodante”, o per usare i termini con cui si epresse in suo articolo, da “struzzo che mette la testa sottoterra”, “adoperato dalle istituzioni nei confronti di predicatori delle ideologie dell’odio, come nel caso di Abu Imad, o circa le concessioni di poligamia, illegale nel territorio italiano, per non riconoscimento dell’unione matrimoniale secondo rito musulmano. I motivi di questa sorta di sottomissione sono essenzialmente due: la convinzione della classe politica di non dover agire per evitare di acuire le tensioni e di rompere gli equilibri sociali ed in secondo luogo l’interesse economico per il fabbisogno di petrolio e gas, una vera e propria dipendenza che può essere combattuta solo rivalutando la questione del nucleare”.

E’ così che dopo le immancabili strette di mano, gli autografi e le fotografie, si conclude un costruttivo pomeriggio a casa di Magdi Allam, un giornalista di origini Egiziane, ma molto più italiano di tanti tra gli italiani, che riconosce ad Israele e dunque all’uomo in quanto tale “la sacralità del diritto alla vita”. Non finisce qui però, perchè Magdi Allam presto sarà a Fabriano per farci visita, più o meno verso la metà di marzo. Noi saremo là con lui, sul palco, sempre pronti a provocare ed instancabili nel confrontarci.


Intervista ad Andrea Giordana- pubblicata su Zai.net

SPETTACOL(ARE)O

ANDREA GIORDANA E’ OTELLO

UN RAPIDO SCAMBIO DI BATTUTE CON COLUI CHE CI EMOZIONERA’ DALL’ALTO DEL PALCOSCENICO SOFFRENDO A CAUSA DEI DEMONI DELLA DIVERSITA’ E DELL’AMORE.

Di Gioele Maria Pignati, 19 anni

Fabriano (AN)

www.gmparticoli.blogspot.com

In collegamento radiofonico con la lontana Bellinzona, una ridente cittadina della Svizzera, ho l’onore di intervistare uno dei volti più importanti d’Italia nel campo della recitazione, Andrea Giordana, passato alla storia come il miglior Edmon Dantes che il cinema in bianco e nero possa ricordare ed ora atteso all’Eliseo di Roma per la sua singolare interpretazione dell’Otello. Seguitemi ed ascoltate cosa ci siamo detti.

Nell’Otello del Sepe non si vuole né attualizzare né ricalcare fedelmente il modello del famosissimo capolavoro scespiriano. Ma allora, di fronte a che opera ci troviamo?

Il nostro tentativo consiste nel mostare un Otello totalmente differente da quello ufficiale. Siamo entrati nelle sue stanze più segrete e soprattutto nella profondità del suo dolore, pur senza inventare nulla che non appartenesse già alla vena creativa dell’autore inglese. Per esprimere il fulcro attorno al qualche è ruotato il nostro lavoro basterebbe questa battuta: “io devo piangere, ma queste sono lacrime crudeli perchè il mio è un dolore assoluto che colpisce solo quando si ama”. E’ così che poi abbiamo ripercorso la strada di Otello in tutta la vicenda d’amore con Desdemona.

Molti sono stati i complimenti, ma inevitabilmente, di fronte ad un’impostazione tanto particolare, anche le critiche non sono mancate. Qualcuno sostiene addirittura di essersi trovato in presenza di un’Otello “liofilizzato”. Che ne pensa di un commento come questo?

Evidentemente questa è l’affermazione di qualcuno che non avendo voglia di uscire dalla classica routine non compie alcuno sforzo nel tentativo di comprendere il tipo d’operazione presente dietro lo spettacolo. E’ vero, abbiamo asciugato qualcosa, specialmente ciò che non ci sembrava in linea con questa visione psicologica dell’ Otello, ma di certo non abbiamo liofilizzato. Al giorno d’oggi non avrebbe più senso far risaltare la figura del doge, le alabarde o i costumi. Ci interessava piuttosto di andare al nocciolo della questione: la storia d’amore tra Desdemona ed Otello e l’estremo dolore del “moro” che ne scaturisce. Se poi qualcuno vuole ancora vedere spadini e gonnellini, farebbe meglio a seguire altri attori, perchè a me non interessa affatto fare quel tipo di teatro.

Si può definire l’Otello in generale, un’opera in qualche modo attuale?

Assolutamente sì. Innanzitutto c’è la tragedia della diversità di Otello, uomo di colore, che, guardando ai recenti episodi concernenti i Rom e l’anti-semitismo, ci appare estremamente vicina. Poi c’è la tragedia della parola, attraverso la quale Shekspeare, già da allora, ci richiamava all’attenzione: la parola infatti è un sistema di comunicazione e, qualora la si deformasse connotandola con un doppio significato o la si patinasse rendendola magari anche volgare, si rischierebbe di cambiare o deformare la realtà raccontata, come d’altronde fa Iago di sua spontanea volontà. Tutto questo è facilmente ricollegabile al nostro rapporto con i media, che quotidianamente ci infarciscono di parole spesso usate male o in maniera parziale in modo tale da raccontarci una verità che non è mai assoluta, ma spesso e volentieri artefatta.

Che pubblico avete incontrato lungo il vostro cammino negli ultimi mesi?

Il nostro pubblico è stato semplicemente strepitoso. Sempre tutto esaurito e non sono mancate nemmeno le scolaresche. Specialmente di quest’ultime vado particolarmente orgoglioso: amavano questo linguaggio, questo coraggioso parlare di sentimenti senza pudore e, al tempo stesso, senza sentimentalismi. Magari fosse sempre così. Oggi in Italia non si ha più il coraggio di parlare di sentimenti ed emozioni, tanto che gli stessi registi finiscono per tagliare scene emotivamente coinvolgenti per il pubblico. Sembra quasi che l’emozione spaventi gli italiani, ma ringraziando il cielo ci sono ancora i giovani!

Una confessione: quando si apre il sipario, c’è ancora un po’ di paura?

No, non parlerei propriamente di paura. Nel caso di Otello, come d’altronde mi è già capitato altre volte, poco prima dello spettacolo ho come un certo fastidio alla bocca dello stomaco perchè so che da quel momento, per le due ore successive, dovrò attraversare un mondo doloroso fatto di una sofferenza nella quale finisco per incarnarmi totalmente. Però come si apre il sipario ed entro in scena dimentico tutto e cerco solamente di calarmi fino in fondo nei sentimenti del personaggio.

lunedì 12 novembre 2007

Muore Gabriele Sandri durante uno scontro tra tifosi-flash News


L'11 novembre ad arezzo in un autogrill scoppia una rissa tra tifosi laziali e juventini. Alcuni poliziotti fermi nell'area di servizio dalla parte opposta della starda se ne rendono conto. Uno di loro per placare la foga avrebbe sparato dei colpi d'ammonimento in aria. Uno dei proiettili però è andato a colpire accidentalmente, uccidendolo, Gabriele Sandri, il dj 26enne seduto sul sedile posteriore di una megane. Sono in corso indagini ed autopsia.

La nuova ducati!!!-flash news

Udite, udite... è stata presentata da pochissimo il restyling tutto nuovo del mito italiano made in Borgo Panicale! Ecco a voi la nuova Ducati Monster. Bella, bellissima, peccato solo per un paio di cose: quell'ammortizzatore obliquo (ma d'altronde è la moda degli ultimi tempi) ed il fanale fac-simile un po' troppo "mv brutale".

Intervista a Vincenzo Galasso-intervista pubblicata su Zai-net

ORIZZONTI DIFFICILI

L’ITALIA E’ “CONTRO I GIOVANI”

Intervista a Vincenzo Galasso

NOVANTA MINUTI DI RIVELAZIONI E PROPOSTE PER UN’ITALIA CHE NON CI VUOLE BENE.

Di Gioele Maria Pignati, 18 anni

Fabriano (AN)

www.gmparticoli.blogspot.com

“Contro i giovani”, un titolo molto forte quello scelto da Tito Boeri e Vincenzo Galasso per il loro nuovo libro. Ma d’altronde non potrebbe essere altrimenti, non di fronte ad una situazione come quella italiana nella quale noi “sbarbatelli”siamo solo e sempre dei cittadini di serie B. Non ci sono risorse sufficienti affinché si riesca ad ottenere una propria indipendenza, le scuole non son degne di questo nome, il lavoro affronta una profonda crisi di precariato giovanile e tutti sembrano snobbarci. C’è da chiedersi: “ma ci sarà veramente un futuro per noi?”. Abbiamo posto il quesito ad uno degli autori del saggio in questione.

Nel vostro libro affermate che ad avere grande influenza su noi giovani italiani sono le famiglie, “troppo spesso generose con i propri figli, ma non con i figli degli altri”. In che senso?

L’Italia ha una struttura familiare molto peculiare dove convivono elementi d’altruismo privato con forme di egoismo pubblico. I genitori sono generosi con i propri figli nel senso che cercano di facilitare in ogni modo possibile la vita di questi ultimi, magari comprando loro un’automobile, offrendo un anticipo per l’acquisto di un appartamento, e, non di rado, arrivando ad alzare il telefono pur di procurare un lavoro. Si riscontra invece un forte egoismo nei confronti dei figli degli altri considerando che poi quegli stessi genitori, trovandosi a dover scegliere se destinare finanziamenti in aiuto dei giovani o verso pensioni e sanità, imboccano sempre la seconda strada precludendo così molte risorse a quei ragazzi. Approssimativamente ad ogni euro speso per i giovani ne corrispondono tre spesi per gli anziani. Nella società del “Welfare State” la maggior parte delle risorse economiche è affidata ai genitori, pensando che poi saranno loro a prendersi cura dei figli e costringendo così le famiglie a svolgere l’errato compito di ammortizzatore sociale. Accade quindi che i figli tardino ad emanciparsi e che poi crescano, usando le parole di Padoa Schioppa, come “bamboccioni” incapaci di vivere senza il sostegno economico dei propri parenti. Rendere i giovani titolari dei diritti finora riservati agli adulti, specialmente di quelli economici, migliorerebbe di molto la loro indipendenza.

Questa eccessiva generosità nei confronti dei propri figli e conseguentemente questo egoismo verso l’interesse pubblico è qualcosa di sfociato all’improvviso o che rientra in un processo più graduale?

E’ un aspetto culturale che noi italiani ci portiamo dietro più o meno da sempre. C’è stato però anche un progressivo deterioramento della situazione per motivi di carattere chiaramente economico. Ad esempio, se anni fa, quando un giovane entrava a lavorare partiva da un salario iniziale magari leggermente più alto del salario medio nazionale, ciò tenendo conto che entrando da giovani nel mercato del lavoro si ha un livello di istruzione maggiore rispetto a chi nel mondo del lavoro ci sta già da molto tempo, oggi al contrario si è giunti alla retribuzione di un salario anche il 20% più basso della media. Ciò fa sì che un giovane lavoratore non possa far a meno di vivere con il sostegno economico della famiglia alle sue spalle.

Molti giovani, totalmente estranei alla politica ed al sociale, spesso lasciano che qualcun altro pensi al posto loro. Per una maggiore sensibilizzazione proporreste ad esempio di abbassare l’età votante. Ce ne potrebbe parlare meglio?

Ridurre per esempio a 16 anni l’età votante, come è già stato fatto in Austria d’altronde, potrebbe, anche se non in modo dirompente, cambiare un po’ le cose. Questo non avrà un impatto fortissimo per quanto riguarda le dimensioni dell’elettorato, ma sarà tuttavia un segnale molto forte poiché i politici si troverebbero di fronte ad un inedito milione di ragazzi circa con cui dover dialogare e parlare, con relativi cambiamenti nell’agenda politica e nei programmi che saranno rivolti un po’ più a favore dei giovani. D’altro canto, sapendo di poter votare prima, ci sarà di certo un po’ più di interesse da parte degli stessi giovani nei confronti della politica. In parole povere si tratterebbe di dar origine ad un circolo virtuoso, una maniera di avvicinare i giovani alla politica, ma allo stesso tempo anche di avvicinare la politica ai giovani.

Le scuole spesso e volentieri viaggiano nell’indecenza di strutture e professori. “Non che non si spenda, ma si spende male!”. Avete parlato di meritocrazia come possibile scappatoia, potrebbe illustrarci in breve la sua effettiva applicazione?

La parola meritocrazia è veramente abusata di questi tempi. L’idea alla base sarebbe di provare ad usare sistemi di valutazione uguali per tutte le scuole con cui constatare il livello dei nostri studenti, valutare l’efficienza delle strutture scolastiche ed il grado di competenza degli insegnanti. Conseguentemente ai vari riscontri si potrebbe pensare, nel caso di merito, di distribuire una serie di incentivi monetari oppure di dar luogo, in caso di non merito, a situazioni disincentivanti come il cambiamento di sede scolastica dei docenti. Dovrebbe poi essere concessa ai presidi po’ di flessibilità in più nella scelta del corpo insegnanti, permettendo, un po’ come avviene nel mondo del calcio, una sorta di campagna acquisti. Poi, se la squadra va bene è merito del dirigente scolastico e se invece va male pagherà anche lui proprio come paga l’allenatore.

Cambierebbe gli attuali programmi di studio delle nostre scuole? Se dipendesse da lei, riporterebbe tutto al vecchio stile di una volta o modernizzerebbe con nuovi strumenti e sperimentazioni?

Premetto di non essere esperto in materia. Mi pare che l’Italia abbia grandi carenze specialmente dal punto di vista scientifico. Lo vediamo da quei test di valutazione già esistenti, ma anche dalle scelte universitarie compiute dai nostri ragazzi, che spaventati dalla scelta scientifica, preferiscono facoltà di stampo più letterario. Per carità, niente di sbagliato, ma ci si chiede se poi quella moltitudine di gente iscritta a lettere e filosofia, riuscirà mai a trovare un lavoro compatibile con quanto studiato, specialmente quando sette italiani su dieci affermano d’essersi ritrovati a fare cose molto diverse dalle loro aspettive. C’è poi un altro aspetto nel quale i giovani italiani risultano essere molto indietro: la conoscenza delle lingue. Ne parliamo poche e male e questo ci mette in seria difficoltà rispetto agli altri paesi. Se avessi una bacchetta magica, ritengo proprio che cambierei questi due aspetti.

Per aiutare i giovani a districarsi dal precariato voi proporreste d’istituire nuovi contratti a tempo indeterminato con indennità graduali durante i primi tre anni e di fissare un salario minimo degno di questo nome. Ma gli imprenditori come la prenderanno? Come li convinciamo che è questa la strada giusta da seguire?

Gli imprenditori necessitano di far fronte ad un mondo che è diventato sempre più flessibile, nel quale molto spesso si ritrovano ad inseguire la domanda dei loro prodotti sul mercato, dovendo così variare l’occupazione in base alle esigenze. Non credo però, che quella del precariato sia una situazione conveniente. E’ risaputo che in presenza di rapporti di lavoro molto precari s’investe poco in capitale umano e dunque si fa poca formazione. Ciò avviene soprattutto nei confronti di lavoratori a tempo determinato, perché è ovvio che non si voglia investire per insegnare il mestiere a persone che poi andranno via magari dopo soli sei mesi. Di pari passo gli stessi lavoratori non avranno un grande interesse ad imparare abilità specifiche che poi non potranno portare in un’altra impresa. La situazione quindi non fa bene né ai lavoratori né ai datori di lavoro, i quali non avranno mai una forza lavoro particolarmente qualificata o preparata. Ciò che fa il contratto unico è di proporre fasi successive con una crescente protezione contro il licenziamento, proprio per dare al lavoratore ed al datore di lavoro la possibilità di conoscersi meglio. Dopo un periodo di prova di qualche mese si passa ad uno di formazione di circa tre anni dove s’investe in capitale umano, dopodichè si è lavoratori a tutti gli effetti. Va considerato in fondo che, quando c’è già stato un investimento nella formazione di un lavoratore non ci sarebbe alcuna convenienza nel mandarlo via poiché questo significherebbe spendere ulteriormente con la formazione di un nuovo dipendente.

Il debito pensionistico italiano raggiunge livelli eclatanti. Come si potrebbe intervenire sulla questione? Proporrebbe, ad esempio, di eliminare tutte quelle “baby pensioni” che, a volte, non sembrano nemmeno essere troppo regolari?

A metà degli anni novanta in Italia è stata fatta una riforma cruciale, la “Dini”, che ha comportato il passaggio ad un sistema retributivo, rendendo chiaro quanto ci si potesse aspettare dalla propria pensione. La riforma però, fu realizzata con un periodo di transizione molto lungo. Per capirci, chi aveva più di quindici anni di contributi nel ’92, era completamente immune dai cambiamenti apportati. Si è lasciato che passassero tra le maglie di questa riforma molte generazioni di lavoratori che poi sarebbero diventati pensionati. Bisognerebbe dunque applicare la “Dini”, com’è stata fatta, “pro quota” a tutte le generazioni, evitando così che troppi scappino via prendendo pensioni molto più generose di quelle che ci spetterebbero tra una ventina d’anni. Andrebbe poi aumentata l’età di pensionamento, ma questo è evidente: basta pensare che viviamo molto più a lungo che in passato. Il dato sconvolgente però è che per quanto sia aumentata la longevità della vita andiamo in pensione sempre prima. Ciò non è affatto sostenibile!

Una frase d’incoraggiamento per quest’Italia di giovani un po’ troppo “bamboccioni” e bistrattati!

Mi rimase molto impresso ciò che disse una volta Don Antonio Mazzi, il fondatore di Exodus: “è vero che questo è un momento molto difficile per voi giovani, è vero che questo è il momento in cui la politica non vi ascolta però, è anche vero che bisogna incominciare a prendersi le proprie responsabilità”. Sono d’accordo con lui, bisogna cercare d’acquisire una coscienza un po’ nuova. In questo momento i giovani hanno un problema diverso dal passato, né di destra né di sinistra, è un problema generazionale che hanno più o meno tutti i giovani, indipendentemente dal loro credo politico. Anziché creare la propria carriera da un punto individualistico cercando di farsi coptare dall’alto, che provino ad aver un po’ più di spirito d’iniziativa cercando d’individuare maggiormente i loro problemi. Insomma, cominciare ad alzare la testa ed informarsi un po’ di più, anche perché, in questo momento, proprio informarsi è importante, soprattutto per i giovani, perché se devono combattere delle battaglie, che scelgano quelle giuste!

Arriva l'anti Digital-Divide italiano!-articolo pubblicato su Zai-net

NUOVE TECNOLOGIE

ARRIVA L’ANTI “DIGITAL–DIVIDE” ITALIANO!

WiMAX: COS’E’, CHI L’HA VOLUTO, A COSA SERVE E PERCHE’ CAMBIERA’ LE NOSTRE ABITUDINI.

Di Gioele Maria Pignati, 18 anni

Fabriano (AN)

www.gmparticoli.blogspot.com

Sembrava la fine del mondo: nel cielo rabbuiato spiccavano le masse informi di nuvoloni neri come la pece e la pioggia, furiosa, picchiettava contro il cappuccio dell’impermeabile fradicio. Finalmente il portone d’ingresso s’aprì e sbucò da dietro di esso il profilo paffutello di Nicola, un mio caro amico delle elementari, che, tutto fremente e gesticolante, mi invitava ad affrettarmi all’interno dell’abitazione. Incuriosito da quel suo strano atteggiamento cercai invano di chiedere spiegazioni a riguardo, ma niente, doveva trattarsi di una sorpresa. Mi trascinò dentro con veemenza e, senza lasciarmi neppure il tempo d’appendere la giacca ancora gocciolante, con un colpo alla porta, disgraziatamente per lei a vetri, che nemmeno al “saloon”, ci ritrovammo in sala. Il dito indice di Nicola era puntato in direzione di un mobiletto scuro addossato al muro antistante. Sopra di esso c’era un computer completo, con schermo in stile scatolone e “tower” ad altezza grattacielo. Espressi la mia disapprovazione: anche la mia famiglia possedeva un computer in tutto e per tutto simile a quello, cosa c’era di tanto speciale? Il volto di Nicola s’illuminò di un ghigno che aveva del terrificante. Guardai una seconda volta e finalmente compresi: accanto alla macchina principale c’era un grosso scatolotto di plastica con due o tre led luminosi accesi. Da questo partiva tutta una serie di cavi e cavetti di colore e trasparenza differenti, alcuni collegati all’unità principale, altri alla presa di corrente e, strano a dirsi, uno inserito nella presa telefonica. Non riuscivo affatto a capacitarmi di cosa potesse essere quell’oggetto tanto arcano e venerato, né a cosa sarebbe mai potuto servire. Fortunatamente Nicola, a metà tra lo spavaldo e il trepidante, giunse in mio aiuto repentinamente: “Non riesco ancora a crederci, papà ha comprato il computer con “Windows 95” e lo ha collegato in rete. Ora abbiamo internet!

CHI VA PIANO VA SANO E VA LONTANO?

A ricordarlo, oggi mi vien quasi da ridere. Pensare che a quel tempo già riuscire a scaricare un’immagine in bassa risoluzione, cosa che poteva richiedere anche diversi minuti, era un’importante conquista. Con l’avanzare degli anni, ovviamente, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Come un piccolo ragno silenzioso, il web ha teso la sua tela agganciandosi ora ad un'altra casa, ora ad una nuova azienda. La realtà odierna è quella che conosciamo e che, anche per merito di una pressante campagna di marketing, è proprio sotto gli occhi di tutti. Internet ora è una ricca vetrina d’immagini e di fluide animazioni, c’è la posta elettronica che permette di inviare documenti in tempo reale, ma non solo, ci sono pure le chat, i forum, i blog, la radio, la tv digitale e chi più ne ha più ne metta! Insomma non c’è aspetto della nostra vita che non sia trattato dal grande villaggio globale, un’infinita fonte di risorse per il mondo del lavoro e, sì, anche dello svago. Tutto ciò soltanto grazie alle nuove tecnologie di connessione estremamente veloci, che noi italiani siamo soliti definire con l’altisonante appellativo di “Banda larga”. Sulla carta tutto bene, il nuovo sistema di cavi a fibre ottiche, perlomeno a detta degli esperti, dovrebbe permettere una connessione tanto veloce da poter scaricare l’intera trilogia di Matrix nel lasso di tempo necessario ad accendere la macchinetta e a prepararsi un buon espresso. In pratica, invece, le cose stanno in un modo un pochino diverso, lo testimoniano infatti le migliaia di lettere di protesta che da qualche mese a questa parte hanno letteralmente sommerso gli uffici del ministero delle telecomunicazioni. L’Italia in confronto ad altri paesi dell’unione europea, parlando d’internet viene definita un paese del terzo mondo. Ancora più precisamente si parla di “Digital Divide” (divario tecnologico), ovvero dell’estremo grado di arretratezza delle nuove tecnologie applicate al web. Molte linee telefoniche, soprattutto quelle dei centri storici e dei paesini di montagna, si basano ancora sul vecchio sistema, consentendo così una navigazione o molto lenta, o, nel peggiore dei casi, impossibile. Andrebbero costruiti impianti moderni, compiuti nuovi scavi, rinnovate le vecchie centraline anteguerra ed in generale, andrebbe esteso il servizio ad un po’ tutto lo stivale, ma ciò significherebbe soldi, troppi soldi, e, si sa, che quando il ritorno economico non c’è imprenditori e capi d’azienda preferiscono investire altrove.

CHI L’AVREBBE MAI DETTO?

A fare una proposta veramente risolutiva nei confronti di quello che per la maggior parte del popolo italiano cominciava a diventare un vero e proprio problema esistenziale ci pensò a suo tempo il ministro delle comunicazioni Paolo Gentiloni: se in Italia costruire nuove linee tra catene rocciose e brulle vallate irte di mortaiolo e granito è così difficoltoso allora internet passerà attraverso l’etere, nell’aria, sotto forma di vere e proprie onde radio. Il sistema in questione si chiama WiMAX, (Worldwide Interoperability for Microwave Access), ed è già stato sperimentato con successo in alcuni paesi, come l’Amazzonia e la Corea del sud. Basta disporre di sole quattro cose: una stazione emittente dalla quale lanciare il segnale di base, uno o più ripetitori massimo a cinquanta chilometri l’uno dall’altro, una specifica antennina “usb” per la ricezione ed un normalissimo computer per navigare in rete. Tutto veramente buono, peccato che prima di arrivare ad una qualche determinazione ufficiale si sia dovuto attendere per diversi anni, un po’ per colpa del sistema burocratico italiano un pizzico lassista, un po’ per colpa del ministero della difesa che ha impiegato più del dovuto nel liberare la frequenza dei 3,5 Ghz, l’unica utile per il WiMAX. Fatto sta che a questo punto, ritardi a parte, il più sembra fatto: il 15 di ottobre infatti è stata finalmente aperta l’asta di assegnazione delle frequenze sotto l’occhio vigile del ministro stesso. L’Italia è stata suddivisa in 7 macroaree, per un totale di 35 licenze, valide per la durata di ben 15 anni, delle quali 14 destinate a tutti i concorrenti in gara, (aspettiamoci dunque la vittoria schiacciante da parte dei soliti noti), ed oltre 21 riservate alle organizzazioni regionali ed alle new-entry del settore. Al di là delle critiche lanciate dalle associazioni dei consumatori, riguardanti lo scarso ricambio di società ed offerenti sul mercato per colpa di un bando a detta loro non troppo ben ponderato, pare proprio che le richieste di chi lamentava un’eccessiva scarsità del servizio siano finalmente state esaudite. Ora si tratta solo di aspettare e di vedere quanto tempo sarà necessario per costruire e mettere in auge le nuove linee.

NON E’ SEMPRE ORO TUTTO QUELLO CHE LUCCICA

Per quanto positiva e modernizzante sia tutta la faccenda però, sembra che la maggior parte della gente, tutta assorta dall’irripetibile offerta di navigare in rete sempre e comunque a “diecimila miliardi di mega al secondo”, abbia tralasciato un punto fondamentale che già da diverso tempo è causa di dibattiti e ricerche scientifiche: l’inquinamento elettromagnetico. Non guardatemi con quella faccia, non voglio essere né polemico, né guastafeste, soltanto un po’ realista. Il nostro pianeta è già pieno straripante di quelle gigantesche strutture metalliche chiamate antenne, dubito che sia conveniente aggiungerne di nuove. Non è ancora stato dimostrato nulla d’ufficiale a riguardo, ma gli studiosi più coraggiosi tentano comunque di affermare che un’eccessiva esposizione alle onde elettromagnetiche sia, se non dannosa, quantomeno poco salutare. Certo, non si tratta mica della frequenza d’onda devastante della luce solare (parecchi Thz, Terahertz), siamo a livelli nettamente inferiori, ma, considerando l’uso continuo e pedissequo di strumentazioni quali cellulari o Router wireless, e l’esposizione prolungata ad onde radio televisive e radiofoniche, alle quali ora vanno ad aggiungersi anche quelle del WiMAX, non c’è forse il rischio che, a lungo termine, ci si ritrovi di fronte a qualche danno un po’ più grave ed irreparabile di quei disturbi del sonno e di quelle modificazioni genetiche che colpiscono l’emoglobina dei vasi sanguigni periferici, uniche manifestazioni finora dimostrate? Come dicevo non c’è niente d’ufficiale, tuttavia vi dirò che il ritrovarmi sotto un ripetitore della Rai e il veder accendersi di luce propria un tubo fluorescente che tenevo stretto tra le mani, non fu proprio la più piacevole delle esperienze della mia vita. Speriamo soltanto che non debba scapparci il morto anche stavolta perché qualcuno guardi con più serietà alla faccenda. Quello che ci aspetta è insomma un futuro fatto, come al solito, di pro e di contro. Se da una parte abbiamo la manna dell’internet a banda larga su scala mondiale, dall’altra rischiamo d’incappare in un rischio, le cui conseguenze non conosciamo ancora sufficientemente. Nell’attesa di nuovi sviluppi tutto quello che possiamo fare è aspettare fiduciosi ed incrociare le dita!

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IO NON CI STO!

Arriva dopo ben due anni d’attesa il tanto acclamato bando sull’assegnazione delle frequenze WiMAX, ma ecco subito un nuovo marasma di proteste e critiche. Molte amministrazioni comunali, considerate la potenza e l’affidabilità della rete WiMAX, avevano già finito di realizzare, perlomeno sulla carta, tutta una serie d’inediti servizi telematici basati sulle nuove tecnologie: tra i più rilevanti un sistema di tele-assistenza che avrebbe collegato l’anziano in tempo reale alle autoambulanze del pronto soccorso. Il 15 d’ottobre però, tutte le loro aspettative sono andate in frantumi: infatti la distribuzione delle licenze prevede, da una parte una gara d’asta aperta a tutti e dunque puro appannaggio delle poche compagnie già affermate sul mercato, dall’altra una distribuzione di licenze regionali, troppo costose ed estese, quindi inutili per un’amministrazione pubblica alla quale sarebbe bastata una copertura comunale. L’unica soluzione sta nell’aspettare la costruzione degli impianti da parte dei grandi gestori e nel chiedere loro in affitto una porzione di rete per la propria città. Se qualcuno pensava che con il wi-max sarebbe cominciato una sorta di periodo d’oro dell’internet libero, rimarrà assai deluso.